La parola Gentilezza evoca in noi l’abitudine di salutare le persone quando le si incontra, tenere aperte le porte per chi viene dopo di noi, sorridere educatamente. In realtà questi gesti fanno parte di un codice comportamentale legato ad un concetto differente, quello di cortesia e buone maniere.
Attenzione perché potrebbe trarci in inganno. La cortesia è una convenzione sociale, un insieme di norme che servono a regolare le interazioni tra le persone. Non sono universali, cambiano di cultura in cultura: questo è il motivo per cui un’azione può essere considerata cortese in Francia, ma scortese in Giappone.
La gentilezza invece ha fin dalle origini un significato più profondo.
Essere gentili è molto di più che sorridere. La gentilezza è l’attitudine delle persone che sanno incontrare veramente l’altro. Essere gentili significa essere cauti nel costruire la relazione con l’altro, avere il coraggio di lasciarsi andare ed incontrare davvero l’altro.
In realtà la parola “gentile” deriva dal latino “gentilis” che significa “appartenente alla stessa gens”, ovvero “della stessa stirpe”. Gentilezza, dunque, come appartenenza ad un medesimo gruppo di persone e, in ambito antropologico, il concetto di appartenenza indica accoglienza del singolo da parte del gruppo, assenza di giudizio e protezione dall’esterno: come accade nel mondo animale, dove sopravvivenza è garantita solo grazie al sostegno ed alla protezione del branco.
La gentilezza è allora un modo per affrontare la vita grazie alla capacità di connettersi con gli altri e di partecipare al benessere della comunità proteggendoci l’un l’altro.
La gentilezza è un atteggiamento che si fonda sull’apertura, verso gli altri e verso l’ambiente esterno. Prevede sollecitudine e desiderio di avere cura delle persone, perché ci si dedica ad instaurare o mantenere con loro un legame non solo civile, ma anche premuroso e attento.
È vivere e comportarsi nei confronti degli altri con l’intento di creare un ambiente inclusivo e piacevole per tutti, in cui sentirsi accettati e protetti.
La gentilezza si rifà dunque a un ideale di comunità, di attenzione e cura uno per l’altro. E le nostre comunità di appartenenza sono tante, la famiglia, la rete amicale, l’organizzazione dove lavoro, l’associazione a cui appartengo, la comunità in cui vivo.
Numerosi studi affermano che la gentilezza comporta vari benefici: aumenta la nostra intelligenza emotiva, la capacità di rispondere in modo empatico e diminuisce il livello di stress (Hoffmann, 2011), riqualifica il cervello che diventa più creativo, intelligente e produttivo (Shown Achor, 2017) in generale, praticare o ricevere atti gentili aumenta la percezione di benessere personale e rende più positivi e ben disposti verso l’altro (Sonja Lyubormisky, 2007).
Tutti questi benefici dovuti a un piccolo gesto gentile, capace di s-scatenare dopamina, serotonina, ossitocina ed endorfine. Quello che è ancor più straordinario è che la gentilezza produce questi stessi effetti in chi la offre, in chi la riceve e in chi la osserva.
Ti aspettiamo al Museo della Felicità di Carpi per allenarci insieme grazie al Campo della Gentilezza.